OSTEOPOROSI E FARMACI CORRELATI

09 Mar 2016

OSTEOPOROSI E FARMACI CORRELATI

Dopo una certa età, la perdita di minerali dall’osso (specie del calcio) è normale, poiché fa parte delle modificazioni che il nostro organismo subisce con l’invecchiamento. Il normale metabolismo dell’osso prevede infatti fin dalla più giovane età che ci sia un continuo ricambio di cellule ossee che da giovani è prevalentemente indirizzato verso la deposizione e la crescita, che dopo l’adolescenza si assesta in una situazione di equilibrio e che verso l’età più avanzata si sbilancia verso una progressiva perdita cellulare e conseguente riassorbimento osseo.

Se invece questa perdita è eccessiva e la massa ossea scende sotto determinati livelli, allora si può arrivare a parlare di osteoporosi.

L’osteoporosi è una malattia sistemica dello scheletro, caratterizzata da una riduzione della massa ossea e da un’alterazione della sua architettura. Questo porta a una maggior fragilità dell’osso e lo espone al rischio di fratture. L’osteoporosi diventa una malattia particolarmente grave o invalidante quando si verifica una frattura in seguito a traumi di modesta entità.

È una patologia ossea molto comune, colpisce entrambi i sessi, ma maggiormente quello femminile dopo la menopausa. Per una opportuna valutazione e diagnosi della propria condizione in tal senso l’ortopedico, lo specialista interessato al problema, richiede normalmente l’esecuzione di un esame chiamato MOC (Mineralometria ossea computerizzata).

 

DIAGNOSI

La mineralometria ossea computerizzata (MOC), è un mezzo per la misura della densità minerale ossea (in inglese Bone Mineral Density, BMD).

Di questa tecnica esistono diverse tipologie, tra cui in particolare la MOC SPA(MOC a singolo raggio fotonico), MOC DPA (MOC a doppio raggio fotonico), la MOC DEXA (Dual-energy X-ray absorptiometry), la MOC QTC (tomografia quantitativa computerizzata) e la MOC QUS (ultrasonografia quantitativa).

Attualmente i metodi cui si ricorre maggiormente per eseguire una mineralometria sono la MOC DEXA, che richiede l’utilizzo di un apparecchio a raggi X, e la MOC QUS, che fa affidamento sulle apparecchiature basate su ultrasuoni.

L’assorbimetria a raggi X a doppia energia (DXA, precedentemente DEXA) comporta l’emissione di due fasci di raggi X, con differenti livelli di energia, che vengono inviati sul tessuto osseo del paziente. Una volta sottratto l’assorbimento del tessuto molle, è possibile determinare l’assorbimento del fascio da parte dell’osso e quindi la densità minerale ossea.

Tale assorbimento per il principio dell’assorbimetria fotonica è infatti proporzionale alla densità dei tessuti ossei. Ad oggi l’assorbimetria a raggi X a doppia energia è la tecnologia più usata e più studiata. La scansione DEXA è in genere utilizzata per diagnosticare e valutare l’evoluzione dell’osteoporosi, laddove la scintigrafia nucleare ossea risulta più sensibile ad alcune malattie metaboliche ossee, quali infezioni, fratture o tumori.

 

Le donne con più di 65 anni dovrebbero essere sottoposte ad una mineralometria ossea computerizzata. Non esiste consenso sull’età alla quale gli uomini dovrebbero essere sottoposti all’esame. Alcuni autori consigliano di effettuare l’esame dopo i 70 anni. Le donne a rischio dovrebbero prendere in considerazione di eseguire il test quando il rischio globale si approssima a quello di una donna di 65 anni, senza ulteriori fattori di rischio aggiuntivo. Il rischio individuale può essere misurato facendo riferimento al calcolatore FRAX dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che include diversi fattori di rischio clinico. Tra questi fattori: precedenti fratture da fragilità ossea, l’uso di glucocorticoidi, l’abitudine al fumo di sigaretta, l’assunzione di eccessive quantità di alcol, l’artrite reumatoide, una storia anamnestica familiare di fratture dell’anca, malattie croniche renali ed epatiche, malattie croniche respiratorie, l’assunzione a lungo termine di fenobarbital o fenitoina, la celiachia, malattia infiammatoria intestinale, e altri fattori di rischio.

 

TIPOLOGIE DI OSTEOPOROSI

L’osteoporosi classica è quella definita senile, tipica della terza età e soprattutto delle donne in menopausa (in questo caso viene detta osteoporosi post-menopausale). Sono le donne ad essere più colpite poiché con la menopausa si verifica un brusco abbassamento del livello di estrogeni, ormoni sessuali necessari anche per il metabolismo dell’osso. Gli uomini vengono colpiti più tardi dal momento che generalmente presentano ossa più robuste e ricche di calcio e poiché la caduta degli ormoni sessuali maschili avviene in modo più lento.

Esistono poi altre forme di osteoporosi, definite secondarie. Possono colpire persone di tutte le età e sono causate da malattie di diversa natura, solitamente croniche. Una volta identificata la malattia primaria che ne è la causa, spesso la situazione può migliorare, soprattutto nelle persone più giovani che hanno più possibilità di recupero della massa ossea.

 

L’osteoporosi non ha una causa specifica, sono stati però identificati alcuni fattori di rischio da tenere in considerazione.

Su alcuni è possibile intervenire, altri sono da conoscere poiché in presenza di un rischio elevato il medico potrà consigliare indagini specifiche. In ogni caso, esserne a conoscenza permette di mettere in atto le giuste misure di prevenzione.

Tra i principali fattori di rischio ci sono fattori anagrafici (età avanzata), genetici (sesso femminile) e costituzionali, ma anche ambientali e comportamentali (dieta povera di calcio e vitamina D, vita sedentaria, abuso di alcol e tabacco). Sono fattori di rischio anche la presenza di malattie croniche, disturbi ormonali e l’utilizzo prolungato di determinate categorie di farmaci (già sopra descritti).

 

Nei soggetti affetti da osteoporosi è necessaria una dieta sana, che comprenda calcio e integratori di calcio, ma anche vitamina D e suoi derivati attivi, sostanze con azione ormonale che assicurano un buon assorbimento di calcio nell’intestino e la corretta mineralizzazione dell’osso. Anche svolgere regolarmente attività fisica è una pratica utile per favorire l’aumento delle masse muscolari e la rimineralizzazione ossea.

 

TRATTAMENTO FARMACOLOGICO

Ma l’osteoporosi è una vera e propria malattia dell’osso e va curata come tale. Il trattamento dell’osteoporosi si avvale quindi prevalentemente di farmaci, utili per arrestare il progredire della malattia e ridurre eventuali fratture. Nel caso di osteoporosi post-menopausale, vengono spesso utilizzate terapie ormonali che prevedono la somministrazione di estrogeni, ma sono ovviamente utilizzabili solo nell’osteoporosi femminile.

 

Il trattamento farmacologico che recentemente ha assunto un ruolo predominante contro l’osteoporosi prevede l’utilizzo di bifosfonati, una categoria molto ampia di farmaci che nasce per il trattamento dei tumori delle ossa e che agisce inibendo il riassorbimento osseo agendo sul metabolismo dello stesso e sulla microcircolazione ossea.

È una categoria farmacologica relativamente recente (attorno agli anni 60) ed in grande evoluzione, sia nelle sue formulazioni che nei suoi dosaggi. Da alcuni anni la letteratura scientifica internazionale ha segnalato una grave complicanza nei pazienti che assumono alte dosi di bifosfonati per un lungo periodo, specie se per via iniettiva: l’osteonecrosi mandibolare (ONJ o BROM).

L’associazione tra l’assunzione di bifosfonati e questa malattia è nota in persone colpite da determinati tipi di tumore, le quali assumono bifosfonati per via endovenosa in quantità elevate e per lunghi periodi per combattere le metastasi ossee.

 

È invece allarmante che siano stati segnalati casi di osteonecrosi mandibolare anche in persone che assumono bifosfonati per via orale e in dosi minori per prevenire l’osteoporosi (anche se in percentuali piuttosto basse, attorno all’1 %). In questo caso, oltre alla durata dell’assunzione di bifosfonati, un importante fattore di rischio per l’insorgenza di osteonecrosi mascellare è l’intervento odontoiatrico invasivo (principalmente l’estrazione dentaria). Sono potenziali fattori di rischio anche eventuali malattie dentali, protesi non adatte, fumo e una cattiva igiene orale.

 

Di fatto, in questi pazienti qualunque tipo di traumatismo osseo può non solo guarire in maniera rallentata, ma anche esitare in un episodio di necrosi ossea, cioè di morte di parti di osso. Avviene in pratica che l’osso si esponga o che una ferita non guarisca, con possibili infezioni e dolori, e anche a volte perdita di parti di osso più o meno ampie, con ovviamente gravi conseguenza sia funzionali che estetiche per il paziente).

Pazienti in terapia con bifosfonati dovranno essere attentamente valutati, seguendo specifici protocolli o affidandosi ad appositi centri ormai creati in molti ospedali. Sicuramente da evitare, limitare o effettuare con grande attenzione saranno avulsioni, chirurgie ossee e l’eventuale inserimento di impianti.

 

È quindi importantissimo che le persone che assumono bifosfonati per disturbi legati all’osteoporosi lo comunichino al proprio dentista, che possa eventualmente mettersi in contatto con il curante prima dell’inizio della terapia. È altrettanto importante curare con estrema attenzione l’igiene orale.

In ogni caso, prima di iniziare una terapia con bifosfonati sarebbe opportuno sottoporsi a una visita dal dentista per effettuare una valutazione di bocca e denti. Eventuali estrazioni e interventi chirurgici sulla bocca dovrebbero essere eseguiti prima di iniziare il trattamento farmacologico o comunque, nel caso in cui fossero necessari, è raccomandata un’appropriata profilassi antibiotica. La sospensione di terapie già in corso risulta spesso inefficace poiché l’effetto dei bifosfonati sull’osso permane a lungo anche dopo la sospensione.